GIORNATA DELLA MEMORIA

In occasione della giornata della memoria, concomitante con l'anniversario della liberazione di Auschwitz /Auschwitz II (Birkenau), pubblichiamo un contenuto di Michela Cogliandro frutto di analitiche ricerche storiche e letterarie. Il testo completo è raggiungibile al seguente link del sito www.piumazzo.com, sotto ne pubblichiamo un estratto.

http://www.piumazzo.com/phpbb3/viewtopic.php?f=7&t=1047&p=2583#p2583
"Chi è stato torturato rimane torturato. Chi ha subito il tormento non potrà più ambientarsi nel mondo, l'abominio dell'annullamento non si estingue mai. La fiducia nell'umanità, già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolito poi dalla tortura, non si riacquista più”.
- Da "I sommersi e i salvati" di Jean Amèry -

“Se vedevi il musulmano lo evitavi perché ti faceva temere che saresti diventato come lui, che forse lo stavi già diventando. Le SS sapevano che era così e te lo mettevano davanti apposta, per spezzarti ancora di più, per farti perdere la speranza.”
Il musulmano, l’ebreo che nei campi di concentramento aveva perso ogni forma di consapevolezza ed era diventato non-uomo, privo di volontà, di memoria, di dignità, di speranza, di forza fisica e mentale.
Il mondo del campo, disumano ed illogico, aveva azzerato la sua identità, il suo essere unico ed originale ed egli, per non smarrirsi continuamente dentro l’attimo, per non dare all’angoscia e allo sgomento la possibilità di ripresentarsi ulteriormente, per resistere anche diventando solo un fascio di funzioni fisiche in disfacimento, aveva staccato ogni contatto con la coscienza ed andava avanti senza sentire, senza vedere. Camminava chino, trascinando i piedi come i musulmani in preghiera, da cui il nome “musulmano”. Non girava la testa, non muoveva gli occhi. Se aveva fame, lo stimolo non raggiungeva il cervello, se lo colpivi, non si rendeva nemmeno più conto del perché.
La spaventosa condizione del musulmano era determinata da una "situazione estrema", al limite della sopportazione fisica e psichica, dove l'umano si trasforma in disumano e l'ebreo in musulmano.
La situazione estrema è uno stato d'eccezione, ma ad Auschwitz si rovescia in abitudine e diventa il paradigma stesso del quotidiano.
“Quell’essere inebetito e senza volontà, strascicando i suoi zoccoli di legno, andò a finire proprio nelle braccia di uno delle SS che gli urlò contro e gli diede un colpo di frusta in testa. Il musulmano si fermò, senza rendersi conto di quel che era accaduto, e quando ricevette un secondo e terzo colpo cominciò a farsela addosso. Allora la SS gli si scaraventò sopra e lo tempestò di calci. Il musulmano non si difendeva: al primo calcio si era piegato in due e dopo un altro paio di colpi era già morto.”
“Perché tanta crudeltà ed umiliazione, dal momento che li avreste uccisi comunque?” - chiese Gitta Sereny a Franz Stangl, ex comandante di Treblinka. “Per condizionare quelli che dovevano eseguire materialmente le operazioni. Per rendere possibile ciò che facevano!”.
La vittima, prima di morire, doveva essere degradata, in modo che l’uccisore non sentisse insorgere il senso di colpa: l’estremo soffrire, il sopportare quello che non si può sopportare, l’esaustione del possibile azzerava ogni forma di umanità.
Consultati: “Diario di Gusen” (A. Carpi), “Quel che resta di Auschwitz” (G. Agamben), “In quelle tenebre” (G. Sereny.)
Michela Cogliandro e Willer Comellini