Nulla come lo scrivere può fare comprendere appieno il senso di una cosa, il peso o la leggerezza di un sentimento, la pregnanza di un’emozione o di uno stimolo mentale . Lo scrivere obbliga l’intuizione e la sensibilità a prendere maggiore coscienza di un linguaggio, della sua forza universale rafforzando anche la comprensione in chi scrive. Se questa tensione fosse in grado di produrre, poi, una condivisione più vasta di meditazioni oggi perse in una gazzarra mediatica ammiccante di suggestioni, ma intimamente superficiale, ci darebbe la fiducia che anche l’invadente “virtualità” odierna dell’informazione, del transito delle idee, della trasmissione delle emozioni possa, alfine, fortificare e non sminuire la valenza e l’apporto dello scrivere e della cultura anche con i nuovi vettori mediatici.
Propondo una sentita riflessione di Michela Cogliandro sull’opera della poetessa polacca WISLAWA ZSYMBORSKA recentemente deceduta.
Willer Comellini


Di Michela Cogliandro
RICORDANDO WISLAWA ZSYMBORSKA
L’ UOMO HA BISOGNO DI POESIA

Dateci un luogo, dateci dei fogli
e noi trasformeremo la carta in poesia.
La nuda carta bianca che profuma!

Non saremo più distratti e delusi,
prontamente infelici,
ma finalmente vivi
e carichi di segni!

La poesia trasforma il quotidiano in sublime. Mentre lo racconta lo rinnova, rendendolo universale.
Il poeta è poeta per un attimo e per tutta la vita. Ciò che dice dura per sempre e rilegge la storia comune, la storia di tutti gli uomini, la storia dell’inenarrabile minuto.
Wislawa Szymborska, poetessa polacca nata nel 1923 e scomparsa il primo Febbraio, fu insignita del premio Nobel (1996) perché trasformava con precisione il contesto storico-ambientale in frammenti di umana realtà.
Più che fare verso raccontava. Prendeva l’elemento e lo analizzava, quasi davanti ai tuoi occhi, usando il bisturi delle parole che incide nella narrazione.

Con uno sguardo mi ha resa più bella,
e io questa bellezza l'ho fatta mia.
Felice, ho inghiottito una stella.

Ho lasciato che mi immaginasse
a somiglianza del mio riflesso
nei suoi occhi. Io ballo, io ballo
nel battito di ali improvvise.

Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino al midollo.
Gli parlo di tutto ciò che vuole:
delle formiche morenti d'amore
sotto la costellazione del soffione.
Gli giuro che una rosa bianca,
se viene spruzzata di vino, canta.
Mi metto a ridere, inclino il capo
con prudenza, come per controllare
un'invenzione. E ballo, ballo
nella pelle stupita, nell'abbraccio
che mi crea.
Eva dalla costola, Venere dall'onda,
Minerva dalla testa di Giove
erano più reali.
Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine
sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza il quadro. - Accanto a un bicchiere di vino -

Per lei e con lei la poesia poteva essere un elemento visivamente riscontrabile, un elemento da scegliere o da scartare : “Ad alcuni piace la pasta in brodo, ad alcuni una vecchia sciarpa, i complimenti, il colore azzurro… ad altri piace la poesia”. Ma quando quell’elemento te lo metteva davanti e te lo descriveva con rigorosa precisione, senza che niente sfuggisse e senza che niente diventasse superfluo, allora capivi che non ne potevi fare più a meno. Te lo ritrovavi come tuo, sperimentato e letto, cosicché la suggestione era la tua verità, e il turbamento l’inevitabile emozione per il tuo accaduto. Poche parole a volte ma incisive e nette, ineluttabili:

… Si sono incrociati come estranei
senza un gesto o una parola,
lei diretta al negozio
lui alla sua auto.
Forse smarriti
o distratti
o immemori
di essersi per un breve attimo,
amati per sempre… .- Prospettiva -


Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano -
una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
Uno "scusi" nella ressa?
Un “ha sbagliato numero” nella cornetta.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.

Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
gli tagliava la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla all'altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa raccolto.
Chissà, era forse la palla
tra i cespugli dell'infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
in cui anzitempo
un tocco si posava sopra un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà. - Amore a prima vista -

La poesia basta, da sola, a fa conoscere non solo chi la scrive, ma anche chi la legge, perché già di per sé, il bisogno stesso di poesia è significativo ed identificativo.

… Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
Il cielo l'ho dietro le spalle,
sottobraccio e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva da sotto.

Persino le montagne più alte
non sono più vicino al cielo
delle valli più fonde.

Qualsiasi cosa che cada in un abisso,
cade di cielo in cielo.

Divoro il cielo e lo secerno.
Sono una trappola intrappolata,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.

Dividendo il Cielo dalla terra
non si pensa in modo appropriato
a questa totalità.
E' solo un modo per vivere
presso un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
I miei segni particolari
sono l'estasi e la disperazione. - Il cielo -



Non ce l’ho con la primavera
perché è tornata.

Non mi fa soffrire
che gli isolotti di ontani sulle acque
abbiano di nuovo con che stormire.

Non ho rancore
contro la vista per la vista
sulla baia abbacinata dal sole.

Riesco perfino ad immaginare
che degli altri, non noi
siedano in questo momento
sul tronco rovesciato d’una betulla.

Rispetto il loro diritto
a sussurrare, ridere
e tacere felici.

Suppongo perfino
che li unisca l’amore
e che lui stringa lei
con il suo braccio vivo.

Qualche giovane ala
fruscia nei giuncheti.
Auguro loro sinceramente
di sentirla.

Non esigo alcun cambiamento
dalle onde vicine alla riva,
ora leste, ora pigre
e non a me obbedienti.

Non pretendo nulla
dalle acque fonde accanto al bosco,
ora color smeraldo,
ora color zaffiro
ora nere.

Una cosa non accetto.
Il mio ritorno là.
Il privilegio della presenza-
ci rinuncio.

Ti sono sopravvissuta solo
e soltanto quanto basta
per pensare da lontano. - Addio a una visita -




Sono un tranquillante.
Agisco in casa.
Funziono in ufficio,
affronto gli esami,
mi presento all'udienza,
incollo con cura le tazze rotte -
devi solo prendermi,
farmi sciogliere sotto la lingua,
devi solo mandarmi giù
con un sorso d'acqua.

So come trattare l'infelicità,
come sopportare una cattiva notizia,
ridurre l'ingiustizia,
rischiarare l'assenza di Dio,
scegliere un bel cappellino da lutto.
Che cosa aspetti -
fidati della pietà chimica.

Sei ancora giovane,
dovresti sistemarti in qualche modo.
Chi ha detto
che la vita va vissuta con coraggio?

Consegnami il tuo abisso -
lo imbottirò di sonno. - Sono un tranquillante -



Nulla è cambiato.
Tranne forse i modi, le cerimonie, le danze.
Il gesto delle mani che proteggono il capo
è rimasto lo stesso.
Il corpo si torce, si dimena e si divincola,
fiaccato cade, raggomitola le ginocchia,
illividisce, si gonfia, sbava e sanguina.

Nulla è cambiato.
Tranne il corso dei fiumi,
la linea dei boschi, del litorale, di deserti e ghiacciai.
Tra questi paesaggi l'anima vaga,
sparisce, ritorna, si avvicina, si allontana,
a se stessa estranea, inafferrabile,
ora certa, ora incerta della propria esistenza,
mentre il corpo c'è, c'è, c'è
e non trova riparo.- Torture -

Nel mondo poetico di W.Zsymborska, tra sfumature concettuali e sottili riflessioni, c’è uno spazio dedicato alla cipolla che viene descritta nella sua dimensione tutt’altra che umana eppure più perfetta.

La cipolla
La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
Fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.
In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla - cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.
Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.
La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi – grasso, nervi, vene,
muchi e secrezione.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.


L’intenzione dei versi è quella di far emergere e prevalere la circolarità perfetta della cipolla, identica nel nucleo come nella circonferenza e negli strati che si succedono via via, “un’eco in coro composta”,una perfezione che fa invidia all’uomo che deve sempre affannarsi a ricrearla e a mantenerla. La cipolla non si ossida col tempo nella sua essenzialità perfetta, non cede agli eventi. La cipolla è tutta cipolla, non ha sangue, nervi, muscoli, pensieri, ha solo la sua cipollosità che non trema, non si turba, non sanguina e non ferisce. Dall’inizio è perfetta, e fino alla fine non avrà dubbi d’essere cipolla, non come l’uomo che oscilla sempre tra un’affermazione umana e un dubbio divino, si da non essere ne uomo né Dio. Gli fa da maestra la cipolla che, a costo di essere divorata, non tradisce la sua identità e...rimane così, come dall’inizio doveva essere: cipolla e cipollosità. Quando l’uomo si riconoscerà ed affermerà di essere una piccola parte divina, destinata ad essere interamente divina se solo comprenderà che la sua umanità è trasversale, non definitiva?
W. Szymborska aveva intuito il progetto degli eventi, quel tutto accaduto prima che accada e questa consapevolezza la fa sembrare distante da ciò che con la penna descrive. Sembra quasi non ci sia il suo cuore presente, ma l’evento successo e inevitabile, di cui solo si deve prendere atto. Ella aveva raggiunto la centralità “cipollina”, aveva all’interno lo stesso perfetto equilibrio che vedevasi all’esterno, l’equilibrio che come tale è freddo perché ha affrontato le emozioni e le ha collocate, le vive ancora a volte ma senza discostarsi da ciò che conta: la sua centralità, quel punto dove l’umanità diventa divina, cioè senza più esasperate angosce, perché senza più esasperate attese. Accade solo ciò che deve accadere, e se va descritto con tanta chiarezza, con tanto dato di fatto, è perché nell’equilibrio interno ed esterno la visione è chiara ed il racconto è freddo! L’anima è fuori dall’emozione, “gioia e tristezza non sono per lei due sentimenti diversi;/è presente accanto a noi solo quando essi sono uniti”.(1)


La poesia di W. Zsymborska è semplice, colloquiale, anche se a volte scivola e diventa insidiosa, tutt’altro che tranquilla. Nasce dalla più comune delle parole che con lei si racconta in modo nuovo, come se mai avesse avuto un senso prima. Sembra che a volte il verso ti guardi e ti sorrida, facendoti andare più lontano, facendoti sentire più profondo. Ciò che vuole ricreare è lo stupore, salvare le cose piccole, i dettagli, le eccezioni; scoprire e far sentire la meraviglia del semplice, del sempre visibile ma sempre nuovo, perché niente è ovvio e immobile. “Si tratta di vedere i miracoli, soprattutto quelli alla buona , in base ai quali le mucche sono mucche e la frutta matura nel frutteto.”(2) Così quello che prima ti è sfuggito te lo ritrovi all’improvviso con tutta una sua emozione, quasi un miracolo per gli occhi e per il cuore.
”La nostra esistenza è un Benvenuto e Addio in un solo sguardo” e “Tutto è nostro e nulla ci appartiene”. Ci salva la meraviglia e la bellezza che va oltre la fine della vita stessa”. (3)

(1) - dalla poesia Qualcosa sull’anima.
(2), (3) - dal discorso di W. Zsymborska in occasione del Premio Nobel.

Michela Cogliandro