NINA E IL DUENDE
Una volta, la cantante andalusa Nina Pastora Pavòn, cupo genio ispanico, cantava in una tavernetta di Cadice. Giocava con la sua voce d'ombra, con la sua voce di stagno fuso, con la sua voce coperta di muschio, e se la intrecciava nella chioma o la bagnava nella manzanilla o la perdeva in intrichi oscuri e lontanissimi. Ma niente, era inutile, gli ascoltatori stavano zitti. Nina finì di cantare nel silenzio. Solo un uomo piccolino, con sarcasmo, disse:"Viva Parigi!" come a dire:"Qui non interessano le capacità,la tecnica, la maestria. Ci interessa un’altra cosa!”. Allora la Nina si alzò come folle, trangugiò d’un fiato un bicchiere di acquavite come fuoco, e si sedette a cantare senza voce, senza fiato, senza sfumature, con la gola riarsa…con il démone. Era riuscita a uccidere tutta l’impalcatura della canzone per cedere il passo a un duende furioso e rovente, amico dei venti carichi di sabbia, che induceva gli ascoltatori a stracciarsi le vesti. La Nina dovette squarciarsi la voce per gli ascoltatori che non chiedevano forme ma midollo di forme, musica pura con il corpo leggero per potersi liberare. Dovette privarsi di facoltà e sicurezze…abbandonarsi… E come cantò! Riuscì a far sentire e a far godere attraverso se stessa.
Michela Cogliandro